Racconti

La campana

Il traffico era insopportabilmente lento e faceva ancora caldo nonostante fosse una sera di fine settembre.

Fortunatamente ho pensato di aprirmi il finestrino del taxi e mettere la testa  fuori per prendere aria e  coi capelli al vento, ho cominciato a guardarmi intorno.

Non ho potuto non notare uno strano individuo che camminava sul marciapiede, nella mia stessa direzione, sembrava avesse perso qualcosa con quella testa china…all’inizio ho pensato che stesse guardando semplicemente a terra.

Con tutto il traffico che c’era, l’uomo camminava praticamente alla stessa velocità del mio taxi, ed io non riuscivo a distogliere gli occhi da lui. Aveva uno strano modo di camminare, ipnotizzante: un movimento alternato dei piedi, con quei suoi mocassini marroni chiaro, lucidissimi.

Ad ogni passo avvicinava un piede all’altro, per poi riallontanarlo in quello successivo, senza distogliere per un solo attimo lo sguardo, ma anzi, a testa china, completamente ignaro di tutto quello che gli capitava intorno, compresi i miei sguardi.

E non sbagliava mai, sempre gli stessi movimenti: gamba destra in avanti, altra gamba in avanti e piedi accostati, gamba destra in avanti, altra  gamba in avanti ma piedi distanziati come a creare una campana, il gioco che facevo da bambina.

Perché quel tizio continuava a muoversi in quel modo?

Dall’aspetto era banale, un uomo come tanti: alto, ben messo, con uno strano impermeabile lungo da mezza stagione color kaki, avrà avuto una cinquantina d’anni, capelli radi, neri, occhiali da vista di plastica con una montatura logora tenuta insieme dallo scotch sulle stanghette.

Pensavo fosse un caso, che dopo pochi passi avrebbe smesso, magari voleva semplicemente scansare qualcosa a terra. Invece no, continuava, ne ho contati almeno dieci di passi così, stessa andatura, stessa testa fissa su quei suoi mocassini marroni chiaro lucidi.

Il taxi è passato oltre, lo ha superato, la mia testa dal finestrino, coi capelli davanti alla faccia per il vento, lo ha accompagnato con lo sguardo fino al punto in cui la macchina ha voltato e cambiato direzione.

L’ultima cosa che vidi di lui, in quella serata, fu il riporto che con una folata di vento gli andrò a sbattere sulla guancia e a sbandierargli un paio di volte all’aria, prima di riadagiarsi tranquillamente nella sua posizione  forzata ma abituale, mentre lui, indifferente, continuava a guardarsi i piedi in quel suo strano balletto.

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