Racconti

Rosalinde ~ scritto per il XXI Festival Musica e Suoni Ispirato e dedicato a Oceano Mare di A. Baricco

Dedicato ad Elisewin

Se il mondo fosse una grossa scatola ed io dentro, una scatola con confini netti e definiti, se solo potessi avere un’ampia visuale di ogni elemento che la compone, di ogni più recondito anfratto, se solo ne distinguessi confini, forme e sfumature, comprenderei, saprei distinguere minaccia o innocuità.

Se tutto questo fosse possibile, allora sì, non mi mancherebbe il fiato.

Ho passato la mia infanzia e parte della mia adolescenza a pormi le domande degli altri.

Spettatrice della vita altrui, senza neanche me ne accorgessi.

Impegnata ad osservare quello che capitava loro, senza nemmeno pensare che qualcosa davvero potesse capitare a me.

Fino a quando, ad una ragionevole età, quella delle prime scelte che ognuno, volente o nolente si trova a dover compiere, mi si è palesata questa necessità, questo dovere imposto: scegliere per me.

Le scelte presuppongono domande.

Cosa voglio? Dove voglio andare? Cosa voglio ottenere? Dove mi vedo nel futuro?

Beh, se una persona non è abituata a porsi domande simili, succede quello che è successo a me.

Velo nero. Panico. Il nulla.

Sembrerà strano, certo, per chi non l’ha mai provato sulla sua pelle, ma a me è successo proprio questo.

E lì, passa la lucidità, scompare, letteralmente. Ogni situazione in cui ci si proietta sembra insostenibile, insormontabile, inconcepibile da vivere ed affrontare.

Si ha Paura. L’incerto crea paura.

Sarei stata perfettamente in grado di immaginare e raccontare chiunque altro al posto mio a vivere quel tipo di situazione e a compiere una scelta e a starci dentro, ma io no, per me, io non avevo alcuna immaginazione.

Passavo le mie giornate ad evitare confronti, mera spettatrice delle vite degli altri, e mi ci trovavo benissimo. Zona di comfort.

Pur avendo voglia di vita nel senso più ampio del termine, vivevo nella convinzione netta che l’amore, la felicità, agire, non avevano possibilità di compiersi, per me.

Mi rendeva felice sentire la felicità altrui.

Come se la mia di vita mi fosse semplicemente, letteralmente, preclusa.

Fino a quella mattina.

Mi sono alzata dal letto e ho smesso di respirare. Letteralmente intendo.

Come se l’aria nei polmoni non bastasse più, il movimento di inspirazione-espirazione accelerato, ma nonostante questo, l’aria non fosse abbastanza.

Dovevo andare a scuola, me lo ricordo come fosse ieri, sveglia al mattino presto, colazione, vestiti e prima di uscire, guardai distrattamente alla finestra e in un instante, apnea.

Mio padre, non vedendomi arrivare, venne in camera mia, trovandomi davanti ad una finestra aperta, con gli occhi chiusi, la bocca aperta, cercando ossigeno.

Quello che tradussi in quel momento, fu che stavo male e volevo rimanere a casa.

Di fronte ad una figlia in piena crisi respiratoria, mio padre, si convinse fosse la scelta migliore.

Peccato che durò mesi, il mio non andare a scuola, ben presto divenne non uscire più di casa, non fare più niente, limitarmi a mangiare e dormire, senza nemmeno comunicare.

Mio padre diceva sempre che sono stata una bambina felice, i miei ricordi di allora si sovrappongono e si confondono, persino lo sguardo di mia madre lo ricordo appena.

“Rose è sempre stata una bambina allegra e sì, sicuramente molto sensibile, ma non mi ero accorto fino a questo punto”.

“Rose è come una spugna intrisa di emozioni, ne è completamente sopraffatta e non sa come venirne a patti. Rose reagisce così, per farsi vedere, Sig. Cromwell. É una ragazzina che ha subito un grave lutto ma che non si è concessa di vivere il suo dolore, pur di far star bene lei.

Una bambina che per tentare di distrarla dal suo di dolore, per quanto sia ragionevolmente impossibile, cancellava il suo mondo interiore per non darle problemi, per farle credere che tutto fosse a posto.

C’è un limite però che non è riuscita a superare. C’è, e per fortuna, una spinta alla sua di sopravvivenza, che le ha impedito di continuare oltre.

Inconsciamente si trova di fronte ad una scelta, tra la sua volontà di vivere pienamente e completamente, concedendosi di vivere sentimenti suoi e di darne la dignità che meritano, e il terrore di non riuscire a sopravviverne, perché non ne ha esperienza, insieme al senso di colpa perché così facendo, teme che lei, Sig. Cromwell, non possa farcela.

Tutto questo identifica una lotta, la lotta più grande nella vita di Rosalinde.

E la lotta, sfocia nel panico, come un estremo tentativo di protezione.

É il tempo di lasciarla andare, Sig. Cromwell, di farle sapere che non può controllare il suo dolore, che non ne è responsabile, che in definitiva, la lascia libera”.

Le parole della Dott.ssa Campbell cambiarono radicalmente la mia vita.

Nell’esatto momento in cui le pronunciò, davanti a me e mio padre, sentì un vuoto nel petto, come il peso di un macigno che all’improvviso, si librava dal mio corpo.

É forse questo il peso della libertà? Un vuoto d’aria cui si sopravvive.

Furono parole di rivelazione. Niente sapevo prima, tutto sarebbe iniziato da quel momento.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *